lunedì 22 febbraio 2010

Inquadrature...



Come in un gioco di specchi, dentro al quale è facile perdere l'orientamento, il senso stabile del posizionamento del corpo nello spazio, sarà capitato a molti di incrociare lo sguardo su un televisore ripreso a sua volta dalla telecamera che ne traduce l'immagine e di perdersi nella prospettiva infinita delle inquadrature una dentro l'altra. È una strana sensazione, terribilmente disorientante, perché lo sguardo non riesce a poggiarsi su nulla di singolare, in quanto ripetizione di se stesso all'infinito, e perché la prospettiva sembra non avere un orizzonte confinato. Un buco nero, praticamente.
Allora provi a irrigidire il tuo corpo, per non muovere lo sguardo nel tentativo di allungare l'occhio nel profondo senza essere disturbato dal movimento, ma niente. Il vortice ti cattura, serra le fila come un esercito compatto di ricami dentro al quale non puoi scorgere nulla se non la ripetizione di te stesso sempre uguale. E nella piccolezza di quella che sembra essere finalmente l'ultima immagine di te, cerchi un particolare, qualcosa di diverso sul quale soffermarsi e far transitare i pensieri, ma ancora niente. Ti accorgi con rassegnazione che l'ultima non esiste, ce ne è sempre un'altra pronta a sostituire la precedente con beffarda ossessività.
In questo caso, certo, tecnicamente si tratta semplicemente di una declinazione al plurale di una singola inquadratura, di un singolo soggetto che, nel suo ripetersi e rimpicciolirsi nella distanza esponenziale tra l'occhio della telecamera e il televisore, rimane fondamentalmente uguale a se stesso. La prospettiva rimanda alla possibilità infinita di variare qualcosa, ma che solo nella ripetizione forzata riesce a distanziare l'identità ufficiale del primo riflesso.
Anche il movimento, connotato da un ritardo simmetrico tra un riquadro e il successivo, sembra riprodurre questo disorientamento, quasi fosse l'affaticamento muscolare dell'occhio umano trasdotto in quello tecnologico. Identità ripetuta, o coazione a ripetere, come direbbe un grande maestro. Si, perché nell'infinito della ripetizione visiva è forse possibile identificare il vortice delle proprie stereotipie, stigmatizzate ad libitum in modo quasi da infastidire, rendere oltremodo percepibile la noia di se stessi. Detta cosi, questa considerazione un po' sartriana, sembrerebbe tranciare di netto la possibilità che della propria immagine ripetuta ci si possa compiacere, ma non è tanto questo il fulcro del discorso. Bensì il fatto che nella percezione della stereotipia, sia essa piacevole o spiacevole, si apre un varco sulla ricerca della novità. Uno spazio dialogico tra sé e il Me stesso-immagine, come dice il buon Rossi, che, se condotto nella direzione del desiderio da parte di un operatore della relazione d'aiuto, può diventare invece germoglio di nuove prospettive semantiche. Ecco allora che nella ripetizione si fa strada l'eco di una novità, una scintilla che se alimentata può dar vita ad un fuoco di emozioni e sentimenti nascosti dall'immagine stessa.

[…]
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l'ho pregato, - ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine...
Eugenio Montale

Pierluca Santoro

2 commenti:

  1. Ciao Pierluca, mi sono persa nel gioco di specchi che racconti, cercandomi...trovandomi con difficoltà...
    mi è venuto in mente il testo di Ferrari ("Lo specchio dell'io") in cui l'autore parla di come sia difficile per noi creare una immagine mentale del nostro volto, diversamente da quella del corpo, che invece è nitida. Pare infatti che riusciamo a ricostruire mentalmente l'immagine del nostro volto non tanto dalle informazioni della propriocezione come avviene per quella del corpo, ma solo dal ricordo della nostra immagine riflessa (nello specchio) o ritratta (nelle foto). Nel testo si dice anche che nei nostri sogni in cui compariamo come personaggi, difficilmente riusciamo a visualizzare il nostro volto. In effetti non mi viene in mente un sogno in cui ho visto chiaramente la mia espressione...e anche se chiudo gli occhi non riesco a visualizzare con chiarezza il mio volto, forse solo qualcosa a livello degli occhi. E in effetti per "vedermi" devo pensare allo specchio o a qualche foto.. e voi? se chiudete gli occhi vi apparite????

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  2. Beh mi ricordo che, quando ero piccolo, facevo una gran fatica ad accettare l'asimmetria del mio volto. Ho una faccia tutta storta a ben guardarla, naso, bocca e linea del mento. Ma quello che mi sorprendeva era proprio la direzione di quella asimmetria che, abituato ad osservarla allo specchio, non riconoscevo invece nelle fotografie. c'ho messo un pò a capire qual'era la destra e la sinistra... non in politica, ovviamente!

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