domenica 6 marzo 2011

L’albero dei mille anni di Pietro Calabrese

ALL’MPROVVISO UN CANCRO. LA VITA ALL’IMPROVVISO
La storia di Pietro è la storia del coraggio di raccontarsi e di farlo anche nel dolore, anche negli aspetti più difficili del suo percorso e forse per molti da nascondere o tenere per sè. Esprime tutti i lati dell’esistenza, come fosse una necessità la sua, di poter prendere un piccolo distacco da ciò che gli sta accadendo ma allo stesso tempo dirci con forza quanto è importante vivere intensamente. Dal momento della scoperta della sua grave malattia, Pietro trova un modo per comunicare al mondo ciò che lo tormenta: Gino. Un personaggio inventato, attraverso il quale può ogni settimana, dalle pagine del settimanale per cui scrive, aggiornare il suo percorso.
“L’altro giorno un mio caro amico è andato dal medico per fare un controllo di routine. È un tipo sano, atletico, che fa sport, che non fuma, cammina almeno un’ora al giorno, due volte alla settimana si fa diciotto buche di golf, per tre giorni alla settimana nuova come un pesce: 80 vasche nella piscina olimpica […] Il medico gli ha fatto la lasta al torace e tutto, all’improvviso, è cambiato.”
Pietro nel suo libro ci descrive l’incontro con il suo personaggio, trasmettendoci tutta l’urgenza di poter dire ciò che gli sta succedendo e di poterlo dire al suo mondo, quello dei lettori, e nel modo a lui familiare: la parola scritta.
“E all’improvvisto arriva Gino. Irrompe senza ritegno né rispetto in questa storia: come il riccio a cui offri temporanea ospitalità e subito si allarga e si ricava uno spazio sempre più grande. Sgombra l’ospite per diventare lui il protagonista e il padrone di casa. Io lo guardo, ammutolisco, mi arrabbio, lo giudico un individuo senza ritegno, ma a poco a poco comincio a volergli bene. Perché il suo spazio dimostra di meritarlo.
Gino per Pietro diventa una possibilità di espressione. Attraverso un personaggio inventato che vive e soffre attraverso le pagine della rubrica, anche Pietro può permettersi di raccontare la sua vita e la sua sofferenza nella malattia.
“È così che avviene la trasformazione. Il cambio è plateale per tutti: all’esterno io divento Gino, e lui diventa me. Io mi annullo e lui giganteggia. Ma mi protegge, para i colpi, fa la figura dell’eroe e soffre al mio posto. O almeno così pensano gli altri. Un legame sempre più particolare, ormai indissolubile. Però, e questo gli va riconosciuto, non è mai stato un legame malato. Gino, che ha preso il mio posto nell’immaginario collettivo, è l’individuo più sano di tutta questa storia.
Con stupore si accorge che il suo racconto ha un’eco di lettori immensa. Il mondo di chi soffre e di chi ha intorno a sé la sofferenza, ma non solo anche di chi semplicemente partecipa a questo alla storia di Gino. Sono persone che iniziano a scrivergli, una grande comunità virtuale che si affianca a questo personaggio, consigliandolo e confortandolo, pur non conoscendolo.
Il racconto allora, rappresenta un luogo e uno spazio in cui quello che gli sta succedendo diventa più reale perché partecipato, condiviso, scritto e stampato.
Affronta la malattia, la sua lotta inesorabile per sconfiggerla, e quasi alla fine del percorso la comprensione e accettazione. Si dice fortunato di aver capito l’importanza del fermarsi e dell’accogliere le piccole cose della vita.
“Mi era arrivato addosso all’improvviso quel treno in corsa del cancro assassino. Mi aveva fatto stramazzare perché io mi fermassi. Perché io riflettessi. Perché io capissi. Perché riprendessi il filo quasi spezzato della mia vita e ritrovassi lo scopo e il perché dell’esistenza. Perché ripensassi ai miei giorni marginali, che erano stati la maggioranza di quelli vissuti, e non li rivivessi mai più, pochi o molti che fossero quelli che mi restavano. Perché finalmente realizzassi che il valore della vita e non è nella vita stessa – magari ce ne saranno altre di vite in altri mondi -, il valore supremo è dentro le piccole cose che compongono il quotidiano, il qui e ora, alle quali non diamo mai importanza, o ne diamo troppo poca. Perché sprechiamo il valore delle cose che contano veramente. Perché ci arrabbiamo e ci perdiamo dietro inutili discussioni, fragorose polemiche, patibolari decisioni. Perché pensiamo che il bello e il buono sono sempre altrove, lontano da noi. Invece sono qui, davanti a noi, ai nostri piedi, e non ce ne accorgiamo finendo col calpestarli e ucciderli. Perché il buono delle cose non è mai così nascosto da non riuscire a scorgerlo, a vederlo, ad assaporarlo. Perché è bella la vita, bello il sole e il freddo dell’inverno, bellissima una giornata di primavera e dolcemente bello il venticello leggero che l’accompagna. Ma chi si ferma a riflettere su queste banalità quotidiane?”
Un esempio, questo libro, di come anche in una malattia, attraverso la scrittura e la narrazione si possa trovare una strada per elaborare ciò che ci succede, per raccontarci ed per esprimere le nostre emozioni e trovare una via per attraversarle.

Gaia Miletic