mercoledì 31 marzo 2010

L'ELEGANZA DEL RICCIO: UNA STORIA DI COLORI, PAROLE E VIDEO


L’eleganza del riccio: una storia di colori, parole e video.
P. era un ragazzo per me indecifrabile lo conoscevo poco, forse anche per questo.. Parlava una lingua che non capivo. Sembrava vivere in un mondo tutto suo. Intuivo soltanto la sua malinconia, il suo dolore e la sua rabbia ma non capivo altro. Non sorrideva spesso, o per lo meno quando lo incontravo. Pensavo di stargli antipatica.
Quando eravamo nella stessa stanza avevo l’impressione che non fosse lì, che non fosse emotivamente presente. Mi inquietava e spaventava la sua irraggiungibilità.
Oggi è trascorso un po’ di tempo, P. non c’è più. Resta un tesoro, che ha lasciato e che era per me sconosciuto. Un tesoro fatto di colori, di parole, di video.
P. era un’artista.
Oggi, solo oggi, sto scoprendo con curiosità le opere che ha lasciato. Probabilmente se non avessi avuto tra le mani le sue opere, se non avessi avuto l’opportunità di conoscerlo attraverso esse mi sarebbe sfuggita la sua sensibilità, il suo prezioso mondo emotivo che ha trasferito nelle poesie, nei quadri e nei collage.
È stato un lampo che mi è balzato agli occhi. Attraverso la sua arte si è fatto conoscere, si è esposto, ha messo il naso fuori dal guscio.
Guardando le sue opere, raccolte in un libro, emozioni contrastanti mi giungono: lo stupore verso tutti quei colori e verso quelle parole così soffici e la consapevolezza che attraverso l’arte ha saputo raccontarsi anche a me che non lo conoscevo.
Oggi P. non c’è più ma quello che ha lasciato è un grande messaggio: l’arte ci può far uscire dal nostro guscio e comunicare con gli altri.

Gaia Miletic

lunedì 22 marzo 2010

Il sogno di un clown


Mi sono chiesto spesso, quando sono in attesa di dare inizio ad una seduta di clownterapia con alcuni ospiti disabili del centro A.n.f.f.a.s “ Nuova Casa Serena” di Trento, presso il quale lavoro da 20 anni, quale può essere oggi il ruolo del clown, quale può essere la sua funzione in una società e in una realtà così tecnologica, dove sempre meno c’è spazio per la fantasia, per i sogni, per la creatività e l’autenticità. Guardandomi allo specchio scorgo quel piccolo naso rosso e in un attimo la mia mente e il mio cuore mi riportano lontano, a quando bambino di tre anni sono stato in ospedale per tre mesi a causa di problemi polmonari. Eravamo agli inizi degli anni ’70 e in quel periodo non era permesso ai genitori di stare accanto ai loro figli se non per il tempo necessario delle visite: circa un’ora ogni giorno. Risento la solitudine e la paura di quei momenti, assieme ad un odore acre di ospedale che mai più mi ha abbandonato.
Altre immagini, altre schegge di ricordi si susseguono. Rivedo il matto del quartiere, famoso per i suoi comportamenti inusuali per noi bambini, che tanta paura ci faceva: tutti lo evitavamo e lui proseguiva imperterrito nella sua pazzia, forse ultima difesa di fronte ad una solitudine, ad una esclusione troppo forte da sopportare. Rivedo il giovane drogato che rovistava nei rifiuti in cerca di un po’ di cibo e che poi seppi essersi suicidato in carcere per la troppa fatica di vivere. Ripenso a quel padre che perse nel giro di tre anni la moglie e i due figli in incidenti stradali e che seppe affrontare con dignità un così devastante dolore per poi, beffa del destino, morire cinque anni dopo per una malattia inesorabile proprio quando la sua esistenza si stava riaprendo alla speranza. Rivedo un uomo con il quale ho percorso migliaia di chilometri lungo i sentieri delle montagne della città di Trento e oggi, dopo una vita spesa per il lavoro e la famiglia, inchiodato su una carrozzina in una casa di riposo, chiuso nei suoi ricordi e in una speranza che mai più si potrà avverare: ritornare in piedi e percorrere le vecchie strade, là dove le vette sembrano toccare il cielo.
Volgo il mio sguardo verso i ragazzi disabili che mi stanno aspettando, scorgo i loro volti, la loro attesa, le loro labbra che si schiudono in un sorriso e altre immagini, altri quadri di vita riempiono il mio cuore, rimescolano la mia anima. Vedo dei piccoli bambini chiusi in una stanza d’ospedale, incerti sul loro futuro, con a fianco i loro genitori con lo sguardo perso nel vuoto, stretti in un dolore talmente inesprimibile che le parole sarebbero ben vano conforto. Ripenso ai malati di mente la cui esistenza è trascorsa fra le mura di un manicomio e provo pietà, vergogna per tutto ciò che è stato. E poi vedo mille volti, mille schegge di vita: bambini scarnificati dalla fame, violentati dalla guerra; donne perse, violate, spogliate di ogni dignità; vecchi che con lo sguardo trapassano il presente per aprirsi verso un orizzonte non ancora ben definito.
Scopro che la vita mi ha dato tanto, che la salute, il benessere e la stabilità affettiva sono doni, sono perle di ineguagliabile valore. E di fronte a tutto questo dolore mi scopro un privilegiato. Allora quel piccolo naso rosso, questo mio insignificante essere clown è solo uno strumento per ringraziare la vita per ciò che mi ha dato, è solo un offrire, a chi questi privilegi non li ha avuti, allegria e gioia ma soprattutto amicizia, accettazione, un mezzo per non sentirsi esclusi, abbandonati. Scopri che non ci vuole tanto per stringere relazioni e amicizie, che non ci vuole tanto per far sentire gli altri meno soli e donare nel contempo benessere e serenità. Capisci che il mondo sarebbe più bello se in ogni famiglia, in ogni città, in ogni nazione ci fosse un clown: sicuramente ci sarebbe meno violenza, ci sarebbero meno guerre, meno gente sola, abbandonata e priva di speranza. E dal mio cuore nasce un grande sogno:

“ Io ho un sogno:
che le lacrime versate dai nostri occhi divengano un giorno delle risate che scaldino i nostri cuori

che le contese che ci allontanano diventino profondi abbracci che uniscano le nostre anime

che i mille sorrisi che ci possiamo scambiare diventino un vasto prato di rossi papaveri che allieta la nostra vita

che ogni clown che incontriamo sul nostro cammino diventi un vero compagno, un amico, un sostegno alla nostra esistenza, un raggio di sole che illumina le nuvole che a volte offuscano il nostro spirito

Io ho un sogno:
che il mondo diventi un immenso sorriso di pace, di amore e di fratellanza!”

GERMANO POVOLI

lunedì 15 marzo 2010

Cortometraggi sulla vita sessuale degli animali by Isabella Rossellini


Io non li conoscevo, forse voi sì, questi meravigliosi cortometraggi scritti e girati da Isabella Rossellini, che illustrano in modo tanto semplice da essere semplicemente geniali la vita sessuale degli animali (non mammiferi) come insetti e pesci. Quello che mi colpisce, oltre la stranezza e la meraviglia delle abitudini sessuali di questi esseri che durante la vita cambiano sesso, si corteggiano e fanno veramente un po’ di tutto per far sopravvivere la specie, è lo stile con cui questi corti sono girati. In scena c’è “solo” Isabella Rossellini che di volta prende le sembianze (aiutata da costumi e sfondi in carta, stoffa e gommapiuma) di uno di questi animaletti raccontando l’avventura dell’accoppiamento.
Che vi devo dire … a parte l’importanza dell’informazione eco-scientifica dell’argomento mi sembra un bellissimo modo, poiché ironico e poetico per affrontare un tema che in qualche modo è ancora un po’ tabù, cioè il sesso, per esempio per parlare con i bambini dell’importanza della vita e della sua conservazione. E guardando questi corti mi viene una voglia irresistibile di provare a fare una cosa simile!!! E a voi?
Per vedere i corti chiamati “Green porno” andate sul sito: http://www.sundancechannel.com/greenporno/ sono in inglese ma forse se ne possono trovare anche alcuni sottotitolati in italiano.

Silvia Adiutori